Confcommercio “punta” sul futuro delle imprese

Al via oggi, su tutti i canali social della Confederazione, la campagna nazionale di Confcommercio, Il Futuro non (si) chiude. Un messaggio forte per la ripartenza delle attività economiche. Coinvolte tutte le Associazioni e le Federazioni del sistema confederale. 

Il Futuro non (si) chiude, oltre ad essere un grido d’allarme per la situazione drammatica che le imprese stanno vivendo in questo delicato momento storico, diventa il claim di un’importante iniziativa di Confcommercio. Una grande campagna social nazionale caratterizzata da un forte impatto visivo ed emotivo, che coinvolge l’intero Sistema attraverso le Associazioni territoriali e le Federazioni.

Obiettivo dell’iniziativa è quello di raccontare la crisi, il sentiment ma anche la voglia di ripartire degli imprenditori, nonché la disperazione, ormai generalizzata, che investe l’intero settore del terziario di mercato. Ma soprattutto, sostenere la necessità e l’urgenza – condivise da tutte le imprese associate – di consentire, nel rispetto delle regole e dei protocolli di sicurezza, la riapertura delle attività per scongiurare le drammatiche chiusure di imprese e la perdita di posti di lavoro.

Nello slogan Il Futuro non (si) chiude ogni parola assume una valenza significativa. Il Futuro è un termine che torna spesso nelle domande di una società rimodellata su nuove esigenze e dinamiche socio-economiche e che coinvolge dal singolo alla collettività, dal commercio all’urbanistica postpandemica, ripensando in chiave funzionale i collegamenti con le comunità locali. Aspetto, quest’ultimo, fondamentale per impedire la desertificazione commerciale e consolidare la realtà delle economie urbane. Il (si) individua il peso della responsabilità nella gestione dell’emergenza Covid-19 che poteva essere gestita sicuramente con meno incertezza e più programmazione, senza ricorrere necessariamente sempre al più chiusure come se fosse l’unica via percorribile. Ad accompagnare visivamente lo slogan Il Futuro non (si) chiude saranno gli scatti fotografici d’autore di Valerio Bispuri, dal forte impatto emotivo che mostrano, nel modo più realistico possibile, gli effetti della pandemia nel mondo del terziario, offrendo una veritiera e autentica “fotografia della realtà”.

 

L’importanza del terziario

Il terziario è un settore strategico per numeri, imprese e lavoratori coinvolti. E le sue imprese costituiscono anche la centralità quotidiana di tutti noi, perché, più di tutti, impattano sulla vita delle persone, nei tempi e nei luoghi delle nostre città. Un modello di pluralismo imprenditoriale e distributivo, che tiene insieme tradizione e innovazione, imprese familiari e società di capitali, persone e territori. Attività che esprimono quell’economia della “socialità”, che è il tratto distintivo del Made in Italy, e che assicurano vivibilità e qualità della vita nelle nostre città e nei centri storici.

Riportare alla normalità e mantenere vitale questo mondo di imprese (a cominciare dal turismo, dalla ristorazione, dal commercio al dettaglio, dalla cultura e dal tempo libero) significa investire su quella parte dell’economia reale che può realmente avere un effetto moltiplicatore sull’economia e un effetto equilibratore sulla società. Significa dare una prospettiva diversa e migliore al Paese.

Dunque, partire dal terziario per far ripartire il Paese. Non è uno slogan, ma il semplice riconoscimento del ruolo essenziale che questo settore riveste nella vita economica e sociale del Paese. Commercio, turismo e cultura, servizi, trasporti e logistica, lavoro autonomo e professioni: un sistema di imprese che nel tempo hanno cambiato il volto della nostra economia, sempre più terziarizzata.

Nell’ultimo decennio, infatti, la quota di valore aggiunto prodotta dai servizi di mercato dei settori di rappresentanza di Confcommercio è aumentata dal 37% a quasi il 40%. Nello stesso periodo, l’industria ha ridotto la sua incidenza passando dal 29% a poco meno del 24%. Ancora più significativo è il contributo del commercio, del turismo, dei servizi, dei trasporti e delle professioni alla creazione di posti di lavoro con una quota di occupati passata dal 37,4% al 47%, Anche in questo ambito, il contributo del manifatturiero si è ridimensionato nel tempo passando dal 27,1% al 21,7%.

Numeri importanti che rispecchiano il peso della rappresentanza di Confcommercio e il suo ruolo sindacale: la Confederazione firma, infatti i contratti nazionali del terziario, distribuzione e servizi, del turismo, dei trasporti e della logistica e altri importanti accordi collettivi di categoria che si applicano, complessivamente, a circa 5 milioni di lavoratori. Contratti moderni e innovativi che valorizzano il ruolo del terziario di mercato.

2020, l’anno del Covid-19

Il Covid è stato e continua ad essere uno “tsunami” per tutti, un’emergenza sanitaria che è diventata economica e sociale colpendo in maniera drammatica soprattutto le imprese del terziario di mercato: intere filiere, in particolare quella del turismo (dai pubblici esercizi agli alberghi, dai tour operator ai trasporti, dalle discoteche agli stabilimenti balneari, dallo shopping alla cultura fino al tempo libero) ma anche molti comparti del commercio al dettaglio, soprattutto abbigliamento e calzature, hanno registrato, infatti, crolli verticali di fatturato e moltissime imprese di questi settori hanno chiuso definitivamente l’attività. Una situazione che, soprattutto durante il primo lockdown, è stata resa ancor più drammatica per la “pressione” della criminalità che si è fatta sentire su una consistente parte delle micro e piccole imprese del commercio e dei pubblici esercizi. Circa il 10% degli imprenditori, infatti, durante quel periodo, è risultato esposto all’usura o a tentativi di appropriazione “anomala” dell’azienda.

Gli effetti sui settori economici

Per il 2020, l’Ufficio Studi di Confcommercio stima una riduzione di oltre 300mila imprese del commercio non alimentare e dei servizi (saldo tra aperture e chiusure), di cui circa 240mila esclusivamente a causa della pandemia, a cui si deve aggiungere anche la perdita di circa 200mila attività professionali sparite dal mercato. Complessivamente, nel 2020 sono andati persi 160 miliardi di euro di Pil, quasi 130 miliardi di consumi (-10,8% rispetto al 2019) e il 10% di ore lavorate.

Solo nel comparto della ristorazione le perdite di fatturato nel 2020 hanno raggiunto i 38 miliardi, con la chiusura di circa 23mila imprese; il turismo ha registrato una perdita di valore della produzione di 100 miliardi, solo il comparto ricettivo ha perso oltre 13 miliardi di fatturato; nel commercio al dettaglio, il settore abbigliamento e calzature ha perso 20 miliardi di consumi con la chiusura definitiva di 20mila negozi; nel commercio su aree pubbliche si registrano cali fino a circa 10 miliardi e 30mila imprese a rischio chiusura; nel settore degli spettacoli le perdite hanno superato 1 miliardo, in termini di mancati incassi, tra cinema e spettacoli dal vivo (musica, teatro, lirica, danza); nel settore del gioco pubblico da inizio pandemia si sono persi circa 5 miliardi di euro di gettito per lo Stato e circa 4 miliardi di ricavi per il comparto nel quale sono a rischio 70mila imprese.

Le richieste di Confcommercio

Le priorità per uscire il prima possibile dal tunnel del Covid-19 e salvare le imprese che rischiano di chiudere sono due:

  • contrasto alla pandemia;
  • difesa del tessuto produttivo per farlo giungere “vivo” e reattivo fino al momento della ripartenza.

Sul primo punto bisogna accelerare il più possibile i tempi della campagna di vaccinazione evitando, però, l’adozione di strategie di contrasto dell’epidemia incentrate su lockdown e limitazioni di circolazione che sono economicamente e socialmente insostenibili. Quello che serve è una strategia articolata che consenta un salto di qualità per far convivere salute e lavoro e mettere, quindi, il sistema in condizione di ripartire subito e in sicurezza. Come, peraltro, stanno dimostrando le attività rimaste aperte osservando tutte le regole e i protocolli di sicurezza. Per Confcommercio è fondamentale poter riaprire e lavorare rispettando, naturalmente, tutte le regole e i protocolli di sicurezza a tutela della salute di tutti, imprenditori, collaboratori e consumatori.

La seconda priorità riguarda essenzialmente il nodo dei ristori e indennizzi e degli ammortizzatori sociali. Come già evidenziato, i settori economici rappresentati da Confcommercio sono quelli maggiormente colpiti dagli effetti della pandemia e dei conseguenti provvedimenti adottati.

Per questo, servono ristori più adeguati in termini di risorse, più inclusivi in termini di parametri d’accesso, più tempestivi in termini di meccanismi operativi. Una misura che dovrà essere accompagnata anche da interventi per ridurre o azzerare la pressione di imposte e tributi locali nei confronti delle imprese rimaste chiuse o fortemente penalizzate per i vari lockdown.

Sul versante degli ammortizzatori sociali occorre una riforma strutturale di questo strumento e una ampia proroga della Cassa Covid-19.

Le risorse per ripartire

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, attraverso l’utilizzo delle risorse del Recovery Fund, è l’occasione per una possibile ripartenza. Bisogna, però, arrivare al più presto ad un progetto compiuto e condiviso. E due, secondo Confcommercio, sono i punti chiave per una rapida programmazione e attuazione degli investimenti: una strategia per le riforme e la messa a punto di un meccanismo di governance, cruciale anche per il recupero dei divari territoriali, che consenta un’effettiva svolta nella capacità di programmazione e realizzazione degli investimenti pubblici. In particolare è necessario investire con determinazione, in termini di politiche, progetti e risorse, proprio sull’economia del terziario di mercato, perché rafforzarne la resilienza significa rafforzare la resilienza del sistema Paese.